Al Tavolo col Nemico I: Dogmi e Falsi Miti

"Al Tavolo col Nemico" è una serie di articoli provocatoria che pone in essere delle contraddizioni che ritengo insopportabili e che sono proprie, se non uniche, del panorama ludico italiano. 

Oggi ne vediamo 3. 

1. Le "Vocine"
Sono un master narrativo, cresciuto tra master narrativi. Sperimentavamo il concept di molti giochi che ora sono in auge senza nessuno che ce li insegnasse e potremmo scriverci un compendio. 
Tutti sperimentano col gdr, in una certa fascia d'età quantomeno, quando è così innamorato o curioso di esplorare altri mondi (o se stesso) da non porsi limiti di alcun tipo. 

Gran parte di un modo di giocare immersivo sono le "vicine". Con questo termine, gli integerrimi cultori del gioco narrativo di OGGI, indicano l'ostentazione della teatralità. 

Io ODIO la teatralità eccessiva, perché porta al tavolo una pressione immensa sui più timidi. E, soprattutto, è un modo meschino per centralizzare l'attenzione su di sé. 
A me piace caratterizzare i PNG con le "vocine", così come apprezzo chi si quanto meno di mostrate un mannerismo visibile. Alcuni lo rendono una macchietta: un personaggio che balbetti può fare sorridere, ma alla lunga diventa solo tedioso. 
Un personaggio coi tic, fa ridere specialmente al sottoscritto, all'inizio. 
In questo senso, capisco alla perfezione perché il gdr ha fatto una sferzata bella solida, se vogliamo forse anche per reazione a quei famosi eccessi di immedesimazione che nel mondo, negli anni 90 specialmente, ha segnato per sempre il nostro hobby. 
E poi è palese che qualsiasi mannerismo improprio è talmente caricaturale da produrre l'effetto contrario, ovvero la distrazione.  

Oggi però sono tempi diversi. Spesso la fantasia si ritrae timidamente in favore della routine. Per quanto uno voglia provarci, è sempre più probabile cadere vittima di cliché e distrazioni. 

Allora, forse, la verità sta nel mezzo: con luce soffusa, musica e alcune "vocine" (evitate per lo più da giocatori molto aggressivi che ostentano sicurezza), un GM o un giocatore che contribuisca all'immersione con un po' di "character voice" probabilmente non fa un torto a nessuno. 

Non gioco in tavoli di "attori", tutti noi siamo immersi fino al collo, spesso senza fare le Vocine. Ma io ho visto stream in cui, pur di non parlare sottovoce, uno ha dice 'te lo ha detto sottovoce', che è la cosa più terribile che si possa fare su un tavolo di gdr. 

Quindi, se per Vocine intendiamo "macchietta che pospone l'estetica del pg al divertimento collettivo rendendolo una macchietta" allora ok, siamo tutti d'accordo. 
Se per Vocine intendiamo un dispregiativo che cassa a priori chi tenta quanto meno di recitare, oltre che di interpretare, è una pressione peggiore, perché fa sentire stupido a priori chi non lo fa. 

2. In D&D non si può "narrare" e master illusionisti
Ok, di cosa parliamo?
La premessa è che, per ME, l'unico gioco che ancora chiamo Dungeons & Dragons è Basic / Expert di Moldvay/Cook, 1981. 
Non sono un Grognard. Sono obiettivo rispetto a un criterio specifico. 
Mi piace giocare a Pathfinder 2, lo trovo stimolante. La quarta edizione la trovo il secondo d&d di sempre. Mi piace Dungeon World adesso e 13th Age è senz'altro il mio moderno preferito in ambito High fantasy. 

Ma sono tutti derivati. Dungeons & Dragons include un mindset oscuro e mortifero, deliziosamente ottuso. 
In quel d&d, i tuoi pg nascono dal nulla, hanno due pezzi d'armatura (se sono fortunati), escono dal paesino e, ben presto, la loro avventura sarà un incubo. Semmai ci sarà un... "Sarà." 

Questo, per me, è un immenso contenitore di narrativa. Non importa se il focus del gioco è scovare trappole, uscire vivi da un castello liberare un porticello da un drago prepotente. 
Quel che succede tra i personaggi, molto diversi tra loro, è una dinamica che, tra morti e risorti, può protrarsi o quantomeno ripresentarsi per anni. 

Abbiamo un GM autoritario che se ne fotte delle regole perché la prima regola gli dice che lo può fare. Non è un gioco per insicuri. È un gioco per chi accetta la morte come una difficoltà standard della propria esistenza. Ma anche lì, oggetti, PNG ed elasticità mentale (richieste per palese penuria di regole reali) sono un canale per creare nuove storie, insieme. 
Non importa se giochiamo Castle Ravenloft, perché un buon master non guida nessuno, ascolta e segue. Se al mio gruppo Castle Ravenloft non interessa, non ci va. Andremo da qualche altra parte. 
Se loro hanno voluto giocarlo, avranno creato pg a cui interessa, evidentemente. 

Io ho smesso di scrivere avventure 'nel senso stretto del termine' molti anni fa. Scrivo pezzi di mondi, li completo con le idee dei giocatori. Prendono vita avventura dopo avventura e ognuno mette qualcosa che diventa vero (13th AGE...). 
Cioè cose normali che, senza troppe inquisizioni sono uscite attraverso la narrazione, la creazione graduale e condivisa e una grande (kudos a me) apertura all'ascolto. 

Abbiamo pianto alla fine della campagna in 4e, ci siamo commossi per quel che è nato tra i personaggi in 13th AGE... Abbiamo fatto lo stesso con Mage, Kult... 

Ora lo sto facendo con Monster of The Week, un nuovo Kult..  

Ma non ho nessun rancore nei confronti di altri modelli di gioco. Non c'è alcuna violenza in una "missione" ne vi è, tantomeno, l'impossibilità di narrare. Un tavolo di giocatori bravi, lo fanno. E, nel contempo, possono farlo anche con le vocie e con un intervento più massiccio del GM. Ricordiamo il punto basilare del discorso: 5 persone chiuse di mente che giocano MALE il gioco che hanno, sono molto peggio delle vocine. 
Di contro, puoi darmi la tematica forte su quello che vuoi, ma se non c'è almeno il tentativo di stare il più in game possibile, il coinvolgimento fa "puff" come una fottuta nube di pollini. 

Con i miei gruppi fissi giochiamo tematiche pesantissime, a volte molto rilassate, senza sfociare in nessun estremo. So che è il momento di rivedere qualcosa, ma non significa sparate a 0 su nessuno. Significa accettare l'idea (biunivoca) che giocare di ruolo è una cosa che può essere fatta in più modi. Ci sono gruppi che si sentono più al sicuro con un modo e altri che lo fanno con un altro: ciò non rende un modo aprioristicamente migliore degli altri, per quanto (e di questo al punto 3), esistano sicuramente dei passi avanti necessari che spesso garantiscono equità ed emotività al tempo stesso. 

3. L'odio per i PbtA
È un po' come l'odio per D&D. Ha lo stesso valore. Persone insicure in modo diverso: che si tratti di un troll delle build, di un integralista di Rolemaster o di uno che gioca coi mal di testa, siamo di fronte a un fenomeno comune. Sono giocatori che cercano una dimensione e che faticano a trovarla e li capisco. 
Per me, la verità è un po' democristiana. 
In una settimana spazio da Shadowrun a Cuori di Mostro e non ci trovo nulla di strano. 

Ma l'odio nei confronti dei PbtA è più buffo. E lo so, perché li ho odiati a morte. 
Li ho capiti quando li ho letti e provati lato master. Quando ho capito che contengono gli stessi principi che ho sempre usato e che scriveva Frank Mentzer nell'83. 

Tempo fa postai una frase di Mentzer in giro, firmata Baker. Grandi complimenti. 
Dicevano le stesse cose. 

Però, qualcosa di diverso ad onor del vero, c'è. 
I PBtA si preoccupano di spiegarmi cosa un pessimo GM non dovrebbe fare, guidandomi (e mi faccio trasportare con piacere) attraverso tecniche di design che rendono i giocatori meno pressati come tali e più pressati come personaggi. 

Non sto sfidando l'intelletto di Mario per provocare una reazione di Superman (il suo originalissimo pg). Sto sfidando Superman per stimolare l'intelletto di Mario. 

Che significa, giocare IN character a prescindere. Perché se Mario non dice nulla che direbbe Superman, in gioco non succede nulla. Non sto premiando quanto Mario reciti bene, ma IL GIOCO premia Mario se Interpreta bene. Ci ricompensa tutti, se lo fa. 

Questo non esclude che le Vocine rendano il gioco più immersivo, ma ci rammenta con un supporto narrativo, che recitare e interpretare non sono sinonimi. 
Da questo punto di vista, un po' lo capisco, perché iniziano a starmi stretti i live, che spesso sono una ragionevole esibizione estetica, di cui poi però deve rimanermi qualcosa. Curiosamente, la giocata più intensa della mia vita la feci con un pg NON vestito come un "vampiro". 

Ma tornando a noi, i PbtA ti fanno crescere come GM, anche quando poi torni ad altri giochi. Perché ti insegnano a non giocare per te stesso e ti dimostrano che a volte, pur essendo un essere umano libero, non lo sarai mai abbastanza fino a quando non sarai totalmente privo di "avventure" nella testa e PNG che si sostituiscono ai pg. 

Ti insegna a tifare per la storia del tavolo. 
Ormai riesco a stento a sedermi a un tavolo in cui si gioca un'avventura, salvo che (magari) non sia strasicuro che le mie azioni siano perfettamente capaci di cambiare quel che sta succedendo. 
Io ho sempre fatto le sessioni 0, quanto meno in via telematica. XD


In appendice, spezzo però una lancia: bisogna essere bravi a giocare ogni gioco rispettandone le regole. Se gioco a calcio, può non essere il mio sport preferito, ma se accetto, non mi metto a prendere la palla con le mani.  Ne accetto gli stilemi e gioco. 
Per alcuni vuol dire giocare 'peggio', per me è giocare 'bene', non 'meglio'. 

Sedersi e fare Castle Ravenloft, creare una comapgnia e vedere quel che succede, se la mia scelta era Castle Ravenloft o se comunque il Mood del gruppo è una gilda coesa quanto meno nell'azione, la bravura sarà nel rendere il dungeon una "scusa" e non "l'oggetto". Questo è buon mastering e prescinde dal manuale che si usa. 

Che i PbtA, se letti e capiti aiutino molto, è una verità inconfutabile. Purtroppo, lo scoglio è ripido ed è buffo come, spesso, sia la comunità a rendere le cose più difficili. 
Qui si chiude il cerchio: prima di essere bravi giocatori, dovremmo essere brave persone. Poi, quel che giochiamo sono fatti nostri, ma io mio ritorno alle origini del gioco narrativo mi ha arricchito... Triste che per farlo sono stato costretto a fare leva su me stesso, perché ho trovato pochissime persone aperte al contraddittorio, ambo le parti. 

Alla prossima, per tre falsi miti sui giochi fantasy, Fate e i giochi "complessi". 

Cia. 

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